Se si toglie la storia a un popolo, cosa gli rimane?
Il dittatore Saddam Hussein, con una maldestra misura, fece costruire una riproduzione della famosa Porta di Ishtar come ingresso di un museo; un atto che intendeva purtroppo, ancora una volta, celebrare non la bellezza dell'arte e il significato della cultura, ma la sua personale magnificenza e creare un legame tra la sua figura di padre della patria e il glorioso passato della regione. È possibile sopravvivere senza memoria?
Al Fadhil (artista cosmopolita) cercherà di rispondere a questa classica domanda in quello che ritiene il modo più adatto, partecipando personalmente a un atto significativo, un atto pubblico: stare in piedi (in piedi in un posto) con le mani incrociate sul petto, davanti alla Porta di Ishtar del Pergamon Museum di Berlino. È un atto minimo e semplice, praticamente banale, eppure carico di significato e di pathos.
Al Fadhil, assumendo la posizione tradizionale delle divinità della Mesopotamia, terra d'origine dell'artista, compie un atto di gratitudine e di devozione verso le terre in cui sono nate le prime civiltà, e allo stesso tempo cerca di risvegliare un processo di consapevolezza attraverso un atto di "resistenza" creativa. Con il suo "stare sul posto", e con un minimo di proiezione psicologica del suo stato emotivo, ci invita a fare una profonda riflessione sull'enorme disastro e devastazione che si è abbattuta sull'Iraq dopo l'invasione ufficiale iniziata il 9 aprile 2003, con l'occupazione militare della capitale Baghdad. In equilibrio tra la clandestinità dell'evento e l'ufficialità dell'istituzione, dialettica che ha contraddistinto l'artista in diverse azioni negli ultimi anni, Al Fadhil propone una performance al limite della clandestinità, una scelta che gli permette di
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